Sangue blu come il mare

La grande storia è passata da qui.
Sì, proprio la Storia con la S maiuscola. Quella che preferisce non lasciare tracce evidenti perché i volti, i nomi sono troppo importanti ed è meglio tacere.
Ci penso spesso, quando attraverso il parco che divide Villa Valery dalla Casa Turrita, tra il Birrificio J63 e l’Osteria Pitti&Friends. E mi chiedo come sia possibile che la grande storia sia passata in un luogo come questo, all’apparenza anonimo se confrontato con le splendide città non lontane da qui, e non altrove. Perché qui? Perché proprio a Cenaja?

 

Mille anni di storie

Scricchiola la ghiaia candida sotto le scarpe e immagino che cosa potrebbe esserci qui, sotto ai miei piedi. Sappiamo che, certamente, vi fu l’antico cimitero della pieve di Sant’Andrea, sin dall’anno Mille. Sappiamo che, ancora più sotto, corrono i tunnel che mettevano in collegamento il borgo fortificato con il leggendario Castello di Cenaja, distrutto dai fiorentini nel Mille e Duecento e che oggi, finalmente, riusciamo almeno a ricollocare nella sua originaria posizione, nei boschi della Tenuta.
Nelle sale ancora accessibili di quei sotterranei, è riemersa la straordinaria Croce delle otto beatitudini dei Cavalieri Giovanniti e chissà cosa altro ancora potrebbe riemergere, a oltrepassare gli accessi sigillati ad altre sale che, certamente, si aprono sotto la Villa.
Ma oggi non voglio raccontare delle tracce dei Templari, né delle imprese dei Marchesi Bartolini Salimbeni che ornano ancora il portale della cappella e l’ingresso della Casa, né del magnate tedesco Otto Von Flick, né del mistero del passaggio di Santa Giulia.

 

Oggi torno con il pensiero alle origini della moderna Torre a Cenaia e a lui, il Conte Robert Pitti Ferrandi. Ripenso al suo nome, innanzi tutto, al vezzo di mantenere quel Ferrandi di cui andava così fiero.
All’apparenza secondo cognome a indicare la linea materna, come usa spesso in chi ha il sangue blu, è in realtà la spia di un evento, appunto, della grande Storia. Una vicenda che il Conte ha voluto appuntarsi sulla giacca del proprio nome, come una medaglia da ostentare con orgoglio al mondo intero.

Ferrandi è un genitivo alla latina. Significa: “Io sono un discendente di Ferrando Pitti”.

 

Il Conte Robert Pitti

 

La Congiura dei Pazzi

Ferrando Pitti non era un Pitti qualunque.

Figlio di Luca, colui che volle il celebre Palazzo Pitti, iniziato nel 1441 su disegno del Brunelleschi, Ferrando partecipò nel 1478 alla Congiura dei Pazzi, con l’esito che tutti sappiamo. Tentò inutilmente di uccidere Lorenzo il Magnifico e, per non finire sulla forca, fu costretto a fuggire da Firenze nei giorni immediatamente successivi all’attentato.

Stefano Ussi, La Congiura dei Pazzi

Finì presto in Corsica, allora isola selvaggia e rifugio di pirati e malfattori. Si arroccò sulle montagne appena a sud della capitale, la cittadella di Corte, laddove oggi sorge un piccolo centro abitato che ancora lo ricorda nel nome: Casa Pitti.

La storia della famiglia Pitti è segnata profondamente dal “bivio” della Congiura: i vari membri della casata non la pensavano tutti alla stessa maniera. Buonaccorso, il fratello maggiore di Ferrando, restò fedele a Lorenzo ed ebbe una fortuna ben diversa, arrivando a ricoprire la carica di Ambasciatore ala corte francese.
Ferrando, senza dubbio, fu il più rivoluzionario; ne seguì le tracce, pochi anni dopo, Piero Pitti, che prese anch’egli parte a una congiura ma in senso opposto: per riportare a Firenze i Medici, dopo che ne furono cacciati nel 1494. Un altro fratello di Ferrando, Iacopo Pitti, combatté a lungo contro i pisani con la carica di commissario generale; da lui discendono i Pitti più longevi, tra cui gli antichi proprietari di Pieve de Pitti. Ma anche questo ramo non è riuscito ad arrivare fino a noi: l’ultima discendente si è spenta nel 1830, sposa dei Lanfranchi di Pisa.

 

Un Pitti speciale

Per questo, per essere di fatto l’ultimo discendente della celebre casata, e non di un ramo qualunque ma del più libero e rivoluzionario, quello di Ferrando il congiurante, Il Conte Robert Pitti è andato sempre fiero del suo nome e delle sue origini.
Nacque proprio qui, in questa grande casa che oggi si sgretola lentamente sotto il peso del tempo, nel 1923. Villa Valery, voluta e costruita dai suoi nonni materni, sul finire del secolo precedente: è qui che tutto è cominciato.

La sua vita è degna di un uomo dal sangue blu dei tempi moderni, ma è la storia della sua famiglia prima di lui, che oggi, mentre osservo la luce calda di un pomeriggio invernale che incendia la facciata della sua Villa, voglio ripercorrere. Perché è qui che si nascondono i più importanti segreti, è qui che si cela, ancora una volta, la grande Storia.

L’albero genealogico della famiglia Pitti

Il fantasma della Contessa

Ogni sera, dalle imposte aperte di Villa Valery, si ode il canto di un uccello notturno, un assiolo. Lo sento alle mie spalle mentre porto avanti le cose di sempre alla scrivania, e non posso fare a meno di pensare a tutti quelli che, passando di fronte a questo splendido rudere, raccontano di presenze, di sensazioni e di immagini confuse.

Ognuno riporta la sua versione ma tutti, in questi anni, mi hanno sempre parlato di Lei. Di una donna bruna vestita come non si usa più.
C’è chi giura di averla scorta a una finestra; chi addirittura mi ha assicurato di averla vista in sogno, dopo che gli mostrai delle foto scattate all’interno della Villa. Non c’è nessuna antica dama, in quegli scatti, sono solo ritratti di ambienti in decadenza. In una di questa c’è una sedia, vuota e polverosa; è qui che sarebbe apparsa in sogno.
Eppure. Eppure questa donna ritorna nelle parole di tante persone che non si sono mai incontrate, ed i suoi tratti sono simili a quelli della madre del Conte.
Non credo ai fantasmi né agli spiriti, credo alla storia e ai fatti. Mi sono intrufolato più volte nella Villa, ma mai ho avuto sensazioni spiacevoli né segni che mi facessero pensare a cose bizzarre.
Si vede che non ho la sensibilità, mi disse una volta un celebre comico toscano, dopo che uscì scosso dall’ufficio di fronte alla Villa perché, così diceva, vi avvertiva presenze che lo inquietavano. Gli avevo suggerito di cambiarsi lì, nell’ufficio, prima dello spettacolo, ma non ne volle sapere; dovetti trovargli un’altra stanza a tutti costi. Pensavo che mi prendesse in giro, da noto toscanaccio avvezzo alle burle, e invece era maledettamente serio.

 

Alla corte di Francia

Lasciamo dunque i fantasmi e torniamo alla storia, quella del Conte Robert Pitti. Già illustre per linea paterna, appare all’improvviso eclatante non appena mettiamo ordine nel ramo materno dell’albero genealogico.

La madre, Pauline De Bearn, nasce a Torre a Cenaia il 17 settembre 1890, dal Conte Jean De Bearn (Parigi 1852 – Bastia 1910) e dalla Contessa Antonia Valery. Il nonno materno discende da Marguerite De Choiseul Praslin (1820 – 1891) e dal Marchese di Brassac Louis Hector De Bearn.
è sulla figura del bisnonno del Conte Robert Pitti, il Marchese di Brassac, che dobbiamo concentrare l’attenzione, poiché è figlio della quinta e ultima figlia della Marchesa di Croy Louise Elizabeth Félicité (1749-1832), conosciuta anche come Madame De Tourzel, dopo che andò in moglie al Marchese di Tourzel Louis Francois Bouchet.

La Marchesa e poi Duchessa, quintavola del Conte Robert Pitti per linea materna, è la celeberrima Governante dei figli del Re di Francia Luigi XVI e di Maria Antonietta. Gli anni in cui si trova a ricoprire questo importantissimo ruolo sono i più difficili della storia francese: dal 1789 al 1795, nel pieno della Rivoluzione.
Nominata in seguito alla presa della Bastiglia, quando i membri del circolo della Regina furono costretti all’esilio inclusa l’allora governante dei figli reali, la Marchesa fu un testimone diretto del disgregarsi della corona francese e dell’ancienne regime. Dal trasferimento a Versailles e poi alle Tuileries, dalla prigionia nella Torre del Tempio a quella a Port Royal, la Marchesa riuscì a sopravvivere anche all’esecuzione dei reali nel 1793 e del Delfino due anni dopo; fu l’unico membro dell’entourage reale a salvarsi dalla furia dei rivoluzionari. Con la Restaurazione, tornò a corte con Carlo X di Francia, che la insignì del titolo di duchessa in omaggio alla sua strenua fedeltà alla corona.

Della sua vita avventurosa restano le memorie, scritte di proprio pugno e pubblicate negli ultimi anni della sua vita: sono una cronaca preziosa sui giorni della Rivoluzione, da un punto di vista davvero privilegiato.

 

Una bellezza di zia

Tornando a scendere lungo questo ramo dell’albero genealogico, ci imbattiamo in un’altra donna celebre. La sorella del nonno paterno, ovvero la zia di secondo grado del Conte Robert Pitti, è infatti una vera star dell’epoca.

Josephine Eleonore Marie Pauline de Galard, de Brassac, de Béarn (1825 – 1860), conosciuta come Principessa di Broglie, era nota in tutta la Francia per la propria avvenenza e per il riserbo, al punto che fu immortalata nel culmine della sua bellezza dal celeberrimo pittore Ingres tra il 1851 e il 1853.

Il ritratto, al Metropolitan Museum of Art di New York, affascina ancora oggi per la dolcezza dello sguardo sognante, per l’incarnato eburneo della Principessa e per la finezza dei dettagli della veste e dei gioielli, tipica della pittura dell’artista francese.

La Principessa di Broglie ritratta da Ingres

 

La croce e il giglio

Uno di questi dettagli colpisce immancabilmente la nostra attenzione, memori dei tesori rimersi di recente dalla storia più antica della Tenuta.

Al collo della nobildonna, un pendaglio in oro riporta la croce patente: una simbologia che, attraverso i i segni del potere della corte di Francia, ci riporta direttamente alla croce ottagona rinvenuta nei sotterranei di Torre a Cenaia e alle tracce dei Cavalieri Templari.


Come è noto, la storia della dinastia dei Capetingi, cioè la famiglia dei reali francesi, affonda le proprie radici nel mistero e numerosi sono i rimandi alle vicende dei Cavalieri cristiani. A partire dal simbolo che più di ogni altro rappresenta la dignità reale in Francia e nell’Europa tutta: il fiordaliso, altresì noto come giglio reale.

Esattamente al di sopra della sala ipogea dove è stata rinvenuta la Croce delle Otto Beatitudini, traccia dei Cavalieri Giovanniti e, indirettamente, dei Cavalieri Templari, sorge Villa Valery. Qui è iniziata la storia che raccontiamo e, qui, sembrano intrecciarsi i segni della grande Storia a Torre a Cenaia.

Costruita dai De Béarn – Valery, la Villa ha visto nascere la Contessa Pauline de Bearn, madre del Conte Robert Pitti ed erede della Governante dei figli di Luigi XVI e della bellissima Principessa di Broglie.
Nelle sue stanze oggi in rovina, nella polvere dell’oblio seguito al passaggio dell’ultimo inquilino, il magnate tedesco Otto Von Flick, che l’abitò ormai più di quaranta anni fa, ecco che emerge il simbolo più importante.

Sopravvissuto miracolosamente all’espoliazione, soltanto perché in bassorilievo su un infisso in muratura difficilmente removibile, scopriamo il più importante segno di nobiltà, la “firma” del sangue blu che ha scritto la storia, anzi la Storia, di queste terre.
Proprio lui, il fiordaliso.

 

Di tutte queste storie, oggi, resta la memoria in chi ancora è capace di udirne la voce, resta il fascino che ne impreziosisce i luoghi, resta il segreto che si cela nei suoi simboli.
Anche nei simboli più insospettabili. Come un vino all’apparenza comune ma dalle caratteristiche straordinarie, quello che puoi scoprire cliccando qui.

Sarà davvero un caso, che il colore della nobiltà sia lo stesso del mare?

Author: Gabriele Panigada

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