Italian Grape Ale, alla scoperta della prima birra “Made In Italy”

Quando, nel 2015, il BJCP – ovvero il Beer Judge Certification Program, cioè l’unico ente internazionale legiferante in tema brassicolo – ha inserito in appendice alle proprie Style guidelines le Italian Grape Ale, le reazioni nel Bel Paese sono state varie.

In molti hanno brindato al primo genere “Made In Italy”; tanti lo hanno celebrato come esito naturale di ciò che stava già avvenendo, in Italia, da quasi un decennio; ma c’è stato anche chi, come il celeberrimo Teo Musso, si è scagliato in invettive contro questa “pagliacciata” (usiamo un termine più gentile) perché – a suo dire – vino e birra sono due mondi da tenere, elegantemente e con buon gusto, ben distanti. O meglio, lui stesso ha a lungo sperimentato un ibrido tra i due nettari, ma un conto è ammostare e bollire, un altro identificare un paese come il nostro, degnissimo in fatto di alcolici, in un “esperimento” simile (e commercializzarlo addirittura!).

Checché ne pensasse Musso, nel giro di appena un paio d’anni le IGA hanno conquistato birrofili italiani e non solo, vuoi per la straordinaria versatilità del genere, vuoi per il ricchissimo substrato di vitigni a disposizione dei mastri birrai nostrani, che hanno potuto così dare fondo alla propria frizzantissima creatività.

 

Ma che cos’è, esattamente, una Italian Grape Ale?

Si tratta di una Ale ottenuta aggiungendo, in ebollizione, uva o mosto, che a sua volta può essere fresco oppure cotto. Nessuna specifica sui blend di vitigni: ognuno può fare ciò che vuole.
In questa estrema libertà e varietà sta l’essenza del genere, che trova la sua ragione d’essere – secondo lo stesso BJCP – nell’essere fuori dalle righe della “normale” produzione di un birrificio artigianale. Nell’incontro tra vino e birra sta tutta l’italianità del genere; nello straordinario panorama dei vitigni del Bel Paese sta invece il carattere specifico di territorialità che ogni IGA va di volta in volta a incarnare. Insomma, è uno stile un po’ “pazzo”, ma che proprio per questo può rappresentare al meglio il variegato, brillante e promettente panorama brassicolo italiano.

 

Qual è il profilo sensoriale di una Italian Grape Ale?

Ciò detto, va da sé che le IGA si differenzino molto le une dalle altre, a seconda del tipo di mosto e di uve impiegate – senza considerare i malti e, quando utilizzati, i cereali non maltati, anch’essi ammessi al genere.
In linea generale, l’apporto del mosto e dell’uva è discreto o medio: a seconda dei vitigni, il profilo aromatico varia moltissimo, ma non sarà inusuale percepire i sentori tipici delle varietà, ai quali si aggiungeranno ulteriori sfumature fruttate dovute all’esterificazione dei lieviti apportati dal mosto.
Frequenti sono i toni aciduli, che rendono le IGA estremamente beverine, soprattutto se ottenute con uve a bacca bianca. Non è raro che la dolcezza dovuta alle note fruttate e all’apporto zuccherino del mosto, la carbonazione sopra le righe e una più spiccata acidità creino un mix a dir poco irresistibile, che rende le IGA un genere per lo più “estivo”, godibilissimo al pari (anzi meglio) di una bollicina da metodo classico.

Il nostro esito “naturale”

Prendi una grande Tenuta toscana, da secoli votata alla viticoltura. Prendi un piccolo birrificio agricolo artigianale sorto, nemmeno un lustro fa, in un vecchio casolare di questa Tenuta. Prendi ettari di vigne a bacca bianca, affacciati su un lago e spesso battuti dal vento di mare; prendi ettari ed ettari di orzo. Prendi la mente effervescente di due giovani imprenditori e il resto viene da sé, nel modo – appunto – più naturale che ci sia.

È così che nasce la JLips, la Italian Grape Ale del Birrificio Agricolo Artigianale J63 o, meglio, di casa Torre a Cenaia. Il vitigno principe della Tenuta, il Vermentino, incontra l’orzo della Tenuta stessa e, senza uscire dai suoi confini, dà vita a una birra esclusiva, la prima Italian Grape Ale a chilometro zero, che unisce “birra” e “vino” della stessa azienda agricola in cui viene prodotta.

 

Quando la birra nasce dal vento

Lips significa Libeccio, il vento che rende i vigneti di Torre a Cenaia un terroir di eccellenza per la coltivazione dei vitigni a bacca bianca. Dagli stessi filari da cui si ricava il mosto per la JLips, composti da piante che hanno raggiunto la maturità e che, grazie a questo, distillano le migliori essenze del territorio, si produce il Cenaja Vermentino, vero e proprio Grand Cru della Tenuta.
Il vento, che spira dalla vicina costa tirrenica, apporta una decisa carica minerale, già tipica del Vermentino, che si percepisce chiaramente anche nella JLips. Il greco antico del nome è un omaggio alla figura di Julia, Santa Giulia, alla quale sono dedicati il birrificio e l’intera gamma di birre prodotte.

La JLips ha un colore giallo dorato e un aspetto leggermente velato. La schiuma è bianca, fine, compatta e persistente. Al naso, rivela freschissime note floreali, profumi di uva e frutta a polpa bianca; decisa è la nota minerale apportata dal mosto di Vermentino. In bocca, il gusto è lievemente maltato, con sentori di frutta a polpa bianca, aromi erbacei e minerali. Abboccata e fresca, la Italian Grape Ale del Birrificio J63 si rivela una birra “estiva”, da provare con formaggi freschi e di media stagionatura, frittate, cannelloni e piatti a base di pesce.

Author: Gabriele Panigada

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