Per Non Dormire, la storia di una notte e di un vino

Ci sono vari modi per raccontare una storia, uno di questi è stappare una bottiglia di vino.

Quella che vogliamo raccontarvi è una storia nella Storia della toscana rinascimentale, che ha lasciato il segno anche nella Tenuta. Come un palinsesto, una superficie su cui si scrive e si riscrive più volte, gli edifici e il territorio di Torre a Cenaia serbano traccia di tutte le “mani” che nei millenni hanno depositato la propria impronta sulle nostre pietre e sulla nostra terra.

Tra le tante testimonianze del passato, una è particolarmente intrigante. Un’impresa – cioè una rappresentazione araldica che simboleggia una linea di condotta di una casata o di una persona, costituita da un motto e da una figura che vicendevolmente si interpretano – raffigurata a più riprese sul portone della cappella di Sant’Andrea. Un mazzetto di tre papaveri racchiusi da un anello e sormontati da un cartiglio con scritto “Per Non Dormire”. Che strano messaggio per il portone di una chiesa! Che cosa potrebbe significare?

Lo si ritrova a Firenze sulla facciata di importanti palazzi, oppure sui libri di scuola, tra le pagine di letteratura che narrano di un famoso poeta italiano “ardito”.

E’ il motto della nobile famiglia fiorentina, di origine senese, dei Bartolini Salimbeni, che fu proprietaria della Tenuta a partire probabilmente dal Cinquecento fino al Settecento. L’allusione è alla loro scaltrezza nel commercio e all’impresa che, così si narra, li fece diventare straordinariamente ricchi nonché una delle famiglie più influenti nella Toscana del tardo Rinascimento.

Si racconta che uno dei suoi membri, venuto a sapere dell’arrivo a Siena di una preziosa partita di tessuti proveniente dall’estero, decise di accaparrarsela con uno stratagemma. La sera precedente all’incontro con il mercante straniero, offrì una sontuosa cena ai suoi concorrenti in affari, nella quale, di nascosto, miscelò al vino uno dei più potenti sonniferi che si poteva reperire allora, l’oppio. La mattina successiva, quando tutti ancora dormivano storditi dall’effetto narcotizzante del papavero, il Bartolini Salimbeni acquistò a un prezzo favorevole l’intero carico che poi rivendette sul mercato cittadino, ottenendo un enorme guadagno e costruendo così le solide basi per la fortuna della casata. “Per non dormire”, quindi, perché la ricchezza della famiglia deriverebbe dal non aver dormito a differenza di tutti gli altri concorrenti in affari – loro malgrado! I papaveri alluderebbero quindi al narcotico, al mezzo che rese possibile l’ascesa economica della famiglia.

Oltre questo racconto che sa di leggenda, l’impresa richiama l’operosità, l’astuzia e la scaltrezza dei primi Bartolini Salimbeni, che con un lavoro ostinato seppero accumulare in poco tempo grandi ricchezze. l papaveri racchiusi dall’anello – come a simboleggiare il sonno tenuto a freno – e il motto “per non dormire” sono l’apologo all’abnegazione e alla dedizione al lavoro e agli affari necessari a costruire il successo economico, come a dire “chi dorme non piglia pesci”.

Fuori dalla narrazione, probabilmente le cose andarono in modo diverso ma il messaggio del motto resta il medesimo. Un accademico fiorentino del Settecento, Frate Ildefonso di San Luigi, ci fornisce una versione più verosimile dei fatti nel libro XXIII delle sue Delizie degli eruditi toscani. Narrando la storia della celebre famiglia senese poi fiorentina, a proposito dell’aneddoto in questione, ci dice che

l’impresa della famiglia Salimbeni, che sono tre papaveri fioriti, legati insieme in un mazzetto, col motto per non dormire, fu assunta dalla famiglia Salimbeni fin dall’anno 1338, quando Benuccio di Giovanni Salimbeni, avendo inteso essere venuto a Portercole un ricchissimo mercatante di Sorìa, per caricare le più preziose merci, specialmente di seta, che vi avesse trovate, si portò colà rapidamente sacrificando il sonno ed il riposo e comprò fra drappi e opere fatte di drappi, per centotrentamila fiorini d’oro. Tornato al chiasso Renaldini, che ora si dice chiasso Largo, aperti molti traffichi, introdusse in Siena l’Arte della Seta.

Torre a Cenaia conserva un’altra traccia della casata, lo stemma araldico con il leone rampante ai lati dell’altare della cappella di Sant’Andrea e sulla chiave di volta all’ingresso della Casa Turrita. Stemma che ricorda il più celebre vessillo all’angolo di Palazzo Bartolini Salimbeni a Firenze, splendido esempio di architettura tardo-rinascimentale che già mostra alcuni elementi manieristi, in piazza Santa Trinita, al termine di via Tornabuoni.

Costruito da Baccio D’Agnolo tra il 1520 e il 1523, si ispira all’architettura romana contemporanea di stampo raffaellesco: è chiaro il rimando nelle colonne ai lati del portale, nelle finestre quadrate sormontate da timpani triangolari, nel bugnato agli angoli dell’edificio. Anche il cortile interno, decorato a grottesche, è un tocco di “modernità” che all’epoca poteva facilmente scandalizzare. Proprio per queste audaci soluzioni architettoniche, Baccio d’Agnolo fu bersaglio di aspre critiche da parte dei fiorentini. In tutta risposta e in pieno accordo con lo spirito per niente sobrio dei proprietari, fece scolpire sulla porta l’iscrizione Carpere Promptius Quam Imitari: “criticare è più facile che imitare”. Passata ben presto l’effetto scandalizzante, il Palazzo divenne una ricca fonte di spunti per gli architetti dei decenni successivi, e i Bartolini Salimbeni seppero trarre nuova forza per il proprio “branding” anche da questa vicenda.

E’ possibile racchiudere tutto questo in una bottiglia di vino?

A nostro parere, sì. Ed ecco perché nella Tenuta Torre a Cenaia nasce il Per Non Dormire.

Composto per il 75 percento circa da syrah e per il resto da merlot, che riposano per dodici mesi in tonneau di rovere Allier e per altri dodici mesi in bottiglia, il Per Non Dormire è un vino sorprendente, dal carattere sontuoso ma al tempo stesso schietto. Si impone da subito, fin dal colore rosso rubino incredibilmente profondo e dai riflessi violacei. Il profumo ammalia, avvolge l’olfatto con decise note di mora e mirtillo. Il sapore è consistente e ben strutturato, vellutato, ricco di tannini morbidi e setosi, piacevolmente lungo nel finale. Proprio questa resinosa e avvolgente dolcezza, tipica del syrah, ci cattura e ci trascina in un vortice onirico, e naturale si avverte l’allusione al piacevole stordimento indotto dal papavero.

E’ il compagno ideale per convivi importanti, si abbina bene a piatti a base di carne rossa e selvaggina, ma si abbina ancor meglio a se stesso. La sua struttura, la sua grassezza che non ne impedisce la bevibilità ma anzi la incita, lo rende un vero e proprio vino da meditazione.

Che cosa “meditare” sorseggiando un vino così, è lo stesso vino a suggerirlo, invitandoci a sospendere le ansie e le battaglie di ogni giorno, per soffermarsi sulla piacevolezza dell’attimo presente. Il carpere dei Bartolini Salimbeni, il monito a “non dormire”, ci ricorda il più celebre carpe[re] diem di oraziana memoria. Lo stesso verbo latino, la stessa parola tutta concreta, carnale e sanguigna, a suggerire un qualcosa da “carpire” appunto, da afferrare e suggere fino all’ultima goccia. Perché la transitorietà del piacere e della stessa esistenza, oggi ancor più percepibile come in ogni epoca ricca di grandi cambiamenti, ci fissa in un eterno eppure sfuggente presente, da godere sorso dopo sorso. Ce lo ricorda anche un celebre “barbaro non privo di ingegno”: we are such stuff as dreams are made on, siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, and our little life is rounded with a sleep, e le nostre piccole vite si dissolvono nel giro di un sonno. La parola utilizzata da Shakespeare, il verbo to round, è eterea e impalpabile come l’essenza ammaliante di una vita che ci sfiora e di un vino appena versato; quando sembra di afferrarlo, il segreto ultimo dell’esistenza, svapora tra le mani, serpeggiando via come il fumo di un sigaro che sale lento nell’aria danzando con se stesso.

Dunque, mia Leuconoe, “sapias, vina liques, sii saggia, mesci il vino, et spatio brevi spem longam reseces, e tronca le lunghe speranze, la vita è breve. Dum loquimur, proprio adesso, mentre parliamo, fugerit invida aetas, fugge via il tempo invidioso. Carpe diem, bracca, carpisci, afferra, suggi l’attimo, quam minimum credula postero, e credi il meno che puoi in ciò che verrà”. Ma, soprattutto, in alto i calici e brindiamo, per non dormire.

Author: Gabriele Panigada

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1 Comment

  1. Complimenti vivissimi, un bellissimo articolo intrigante.
    Saluti

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