Il nostro pane, il pane toscano

Con un’occhiata veloce, Stefano controlla che l’impastatrice faccia il suo dovere. Le piccole masse di pasta di ieri, di un colore tendente all’ocra, scompaiono e riaffiorano a più riprese in quel mare lattiginoso di acqua e farina. Poi, a poco a poco, la massa si fa più densa: già immagino che cosa accadrà tra qualche ora e pregusto il sapore “sciocco” ma pieno e gustoso del pane della nostra terra, il pane toscano.

Impasto pane

La pasta di ieri: il segreto è tutto qui, mi dice. Sì perché nel suo pane, così come nella sua pizza che prepara ogni sera al Birrificio Agricolo Artigianale J63, il lievito di birra è bandito: la pasta di ieri conserva da sempre la giusta quantità di lievito necessaria a innescare la reazione chimica che porterà la massa spugnosa a lievitare quanto basta. Potrebbe sembrare una cosa da maghi e fattucchiere: il “trucco” di quelle piccole palle di pasta celate da un lenzuolo, il dover “tenerle in vita” ogni giorno, rinnovarne la vitalità con gesti sempre uguali e misurati, il sapiente dosaggio nell’impasto. E’ pura magia, non saprei come definirla altrimenti.

taglio pane

Il lievito madre o pasta acida, così mi spiega, è semplicemente un impasto di acqua e farina fermentato da fermenti lattici e lieviti. Lo mantiene in vita “rinfrescandolo” giornalmente, non mi dice da dove proviene questa cosa vitale, quale tradizione l’ha portata fino a qui. E’ il suo segreto e non possiamo che rispettarlo. Il lievito di birra di tipo industriale invece è composto da cellule selezionate del lievito Saccharomyces cervesiae, non contiene fermenti lattici e questa sostanziale differenza si ripercuote, negativamente, sul nostro apparato digestivo. Per questo Stefano lo evita, è come parargli del diavolo.

“Puoi mangiarne quanta ne vuoi della mia pizza, del mio pane,” mi confessa orgoglioso. “E dimmi poi se ti gonfia la pancia, se ti viene sonno…” Sorride, sa bene che la digestione dei suoi prodotti da forno è impeccabile. “Impiego molto più tempo a preparare questo impasto, a star dietro alla pasta acida, ad aspettare che il tutto lieviti nei tempi naturali… ma senti che profumo, e assaggia la mia pizza. Questo tempo in più fa la differenza, quello che ottengo non ha prezzo!”

Non posso dargli torto. L’uso di pasta acida e la lievitazione naturale fanno davvero la differenza. Inoltre, altra cosa di cui Stefano va fiero: “Il mio pane si conserva a lungo, puoi mangiarlo tra quattro o cinque giorni ed è ancora perfetto. Se poi lo ravvivi in forno sarà di gran lunga più buono e fragrante di un pane fresco industriale”. Proprio così, i fermenti lattici del lievito madre producono acido lattico e altre sostanze come l’acido fenil-lattico, che aumentano di parecchio la conservabilità del pane. Non solo, i fermenti lattici, lavorando sui componenti insolubili della farina, liberano elementi minerali che rendono il tutto più facilmente assimilabile. Anche molti giorni dopo che il pane è stato sfornato.

L’altro suo segreto, lo capisco dalla cura con cui me ne parla, è la farina. E’ selezionata dal Consorzio Agricolo Pieve di Santa Luce delle colline pisane, non è raffinata e ha la bellezza di 10 cereali! Per questo è ricca di fibre, proteine, sali minerali, elementi che rendono il suo pane particolarmente sano, digeribile e nutriente. è composta da cereali all’86,6%: farina di grano tenero tipo “0”, semi di miglio, farina di mais, farina d’orzo, farina di segale, semola di grano duro, fiocco d’avena, farina di grano farro, farina di riso, farina di grano saraceno integrale; semi di sesamo, semi di lino, pasta acida di frumento essiccata, farina di soia, sale, malto d’orzo e farina di malto di grano tenero. Non è una semplice farina questa, è la quintessenza di ciò che nasce dalla terra pisana.

Farina ai 10 cereali

L’impastatrice ha finalmente fatto il suo dovere, Stefano stacca allora dalla massa tanti pugni di pasta: il suo occhio, la sua mano conoscono esattamente la quantità necessaria per dar vita al pane nella misura richiesta dal Birrificio e dall’Osteria di Torre a Cenaia. Lavora le masse fino a renderle oblunghe, le mette a riposare distendendole su lungo ripiano di legno e coprendole, a una a una, con un lembo di un interminabile lenzuolo bianco. “Torna tra qualche ora,” mi dice. “Adesso non ci resta che aspettare.”

Coprire il pane

Quando rientro nel suo regno, il grande forno a legna è già in temperatura. La pietra ruotante all’interno si muove impercettibilmente e Stefano dà un’ultima rassettata alle braci. Ci siamo. Impugna la lunga pala di acciaio e comincia a inserire gli impasti, lievitati al punto giusto, nella bocca del forno. Una volta riempito, controlla di nuovo la temperatura, digita qualcosa sulla piccola tastiera e mi dice ancora: “E adesso aspettiamo”.

Pane nel forno a legna

Fare il pane, ho capito, è un gioco di attese. Ingredienti di prima scelta, gesti misurati ma decisi e, soprattutto, saper aspettare il momento giusto per compierli.

Ed io mi ripresento al momento giusto, quando già il profumo del pane caldo invade il locale. Adesso capisco il perché di tanta dedizione, di tanta ostinazione nella scelta delle materie prime e nel seguire gli antichi procedimenti della tradizione. E’ un qualcosa di sacro e magico allo stesso tempo, questo profumo è benessere allo stato puro; credo che esserne l’artefice sia una delle poche piccole-grandi e genuine soddisfazioni che la vita possa offrirci.

SforniamoPurtroppo le parole sono costrette ad arrendersi, non posso trasmettervi l’inebriante e caldo sentore che dal forno si spande adesso per le sale vicine del Birrificio. Il modo per esperire tutto questo è uno soltanto: venire ad assaggiare i prodotti del forno di Torre a Cenaia, plasmati dalle mani e dalla sapienza di Stefano.

Fette

Author: Gabriele Panigada

Share This Post On

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *